You get lots of ideas on how to explain your world, how your bags are born and how they move, where you’d like to exhibit them, where your ideas come from and how important the people you meet every day are.
The first days were just a long breath-holding wait for the oxygen that has always given me life.
Yet, the air is changing and my lungs don’t have extraordinary powers.
We started spending our afternoons with our kids in the shared courtyard, drying laundry and drawing with chalk. From Terrazzo labicano we saw the Colosseum barren from its visitors, via Labicana only crossed by empty buses, yet many people looking out their windows. Some were hopeful, some were resigned, others engrossed, lost in the void. I looked at all of their faces, from my Terrazzo labicano, telling the story of more than a month of isolation. Like small windows of humanity, that bare weaknesses, fears and the longing of a suspended normality.
And there, I also met my new companions in adventure, with whom we shared this surreal journey. We tried explaining to our kids what was happening, we told each other what our life was like before this, and what we’re afraid of not regaining when we’ll come out of this micro-world again.
When facing the indecision on which is the best starting topic, something even the most imaginative mind couldn’t have foreseen happens: quarantine.
We opened our wine bottles, we laughed for simple things, played our fears down and enjoyed this uncertain “life-not-life” together.
And when one night I talked about my bags, about the nostalgia of my workshop and the smell of leather, about the wait before collecting a prototype and the photoshoot that I had to do and that would have lighted some shine upon my creations, my terrace companions told me we could have shot anyway.
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Quando decidi di aprire un blog ti sembra un’idea pazzesca.
Sono tante le idee che ti vengono per spiegare il tuo mondo, dove nascono e si muovono le tue borse, dove ti piacerebbero fossero esposte, da dove vengono le tue idee e quanto importante siano le persone che incontri ogni giorno.
E’ tutto pronto. Si parte. E nell’indecisione di quale sia l’argomento più giusto per iniziare, succede quello che nemmeno nell’immaginario più fantasioso potevi prevedere: la quarantena.
Nei primi giorni è stato un lungo trattenere il respiro in attesa di riacquisire l’ossigeno che mi ha sempre dato vita. In apnea per due settimane, cercando di non pensare e di non respirare, perché anche solo un soffio alle volte può far nostalgia.
Ma l’aria cambia e i miei polmoni non hanno poteri straordinari.
Abbiamo cominciato a passare i nostri pomeriggi con i bambini nel terrazzo condominiale, tra una lavatrice da stendere e un disegno con i gessetti colorati.
Dal “Terrazzo labicano” abbiamo visto il Colosseo spogliato dei suoi visitatori, via Labicana attraversata solo da autobus deserti, ma anche tante persone alle finestre. Alcune speranzose altre rassegnate, altre assorte, perse nel vuoto. Li ho guardati tutti i volti, dal mio terrazzo Labicano, che raccontano oltre un mese di quarantena. Come piccole finestre sull’umanità, che mettono a nudo debolezze, paure e quella voglia di normalità sospesa.
E lì ho incontrato anche i miei nuovi compagni di avventura con cui abbiamo condiviso questo surreale viaggio. Abbiamo cercato di spiegare ai nostri figli quello che stava accadendo, ci siamo raccontati quello che era la nostra vita prima e di quello che abbiamo paura di non ritrovare quando usciremo dal nostro micromondo.
Abbiamo aperto le nostre bottiglie di vino, abbiamo riso delle cose semplici, sdrammatizzato le nostre paure e abbiamo gustato insieme questa “vita non vita” sospesa.
E quando una sera ho parlato delle mie borse, della nostalgia del laboratorio, dell’odore della pelle, dell’attesa di ritirare un prototipo e del servizio fotografico che avrei dovuto fare che avrebbe dato un po’ di scintillio alle mie creazioni, le mie compagne di terrazzo mi hanno detto che il mio shooting lo potevamo fare uguale. Scopri poi in questi momenti che nel tuo condominio quell’ uomo del terzo piano con cui ti sarai scambiato tremila “Ciao!” duemila “vuoi che ti aiuto a portare la spesa?” “Come stanno i ragazzi?” “Che noia questa pioggia..”, non è solo una persona estremamente gentile, ma è anche un uomo dalle mille risorse, e tra le infinite qualità ha anche la passione per la fotografia. Stefano si è reso subito disponibile e ci ha regalato la sua professionalità. Ci siamo tolte di dosso la polvere della noia e delle giornate tutte uguali e il nostro terrazzo è diventato il palcoscenico del servizio fotografico Labonin. Ci guardavano dai terrazzi vicini, con la musica per allentare la vergogna e con le risate per il nostro modo impacciato di affrontare questo gioco.
Il risultato mi sarà sempre caro. Perché ogni foto è una scatola che contiene tutto quello che è importante nel mio lavoro: la mia passione e la voglia di continuare a realizzare borse anche nel mondo che verrà, le nuove amicizie che non sarebbero mai nate se non in questo bizzarro momento, la voglia di essere leggeri nonostante tutto, la bellezza dei colori, il lavoro sapiente degli artigiani, la voglia di aiutarsi e la bellezza della resilienza.
Questa quarantena sta finendo finalmente, ma sono sicura che mi verrà nostalgia quando sul terrazzo labicano si spegneranno le luci , il sipario sì chiuderà e questo luogo tornerà a ospitare gabbiani e panni al vento.